venerdì 12 giugno 2015

Jurassic World

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Finalmente ieri sera si è potuto assistere al ritorno sul grande schermo dei dinosauri.

Le bestie preistoriche che ormai più di venti anni fa Spielberg è riuscito a riportare in vita, rivoluzionando per sempre il concetto di effetti speciali e di computer grafica, sono rtiapparse in tutta la loro magnificenza dopo mesi e mesi di hype. 

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Dopo i due deludenti sequel del primo insuperabile capitolo della saga di Jurassic Park il pesantissimo testimone della regia passa da Spielberg a Colin Trevorrow e il regista/sceneggiatore realizza un lungometraggio che si pone a metà tra remake e sequel diretto del capostipite. Sono ormai passati vent'anni dalla rovinosa prima apettura del parco su Isla Nublar e finalmente la struttura, ora denominata Jurassic World, pare funzionare a dovere. Il nuovo proprietario del parco, l'industriale Simon Masrani (Irrfan Khan) ha dato continuità al progetto dell'ormai compianto John Hammond e grazie al costante impiego delle tecnologie della InGen e sotto la guida del dott. Henry Wu (B.D. Wong, unico attore presente del cast originario) la struttura viene costantemente arricchita con nuove specie e attrazioni.

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E' in procinto di essere aperta al pubblico l'ultima novità, l'Indominous Rex, specie creata mediante la combinazione del DNA di differenti tipi di rettili preistorici (e non solo) che, come nella miglior tradizione, sfugge al controllo seminando il panico tra i visitatori del parco.

Jurassic World non è altro che un omaggio all'opera di Spielberg

Un film che doveva essere fatto per quei fan che come me, nel 1993 sono andati al cinema e hanno visto qualcosa sino ad allora inimmaginabile. La pellicola di Travorrow cita in continuazione il capostipite mediante l'inserimento di oggetti, situazioni e location che per forza di cose riportano lo spettatore indietro di 20 anni.  

Una vera e propria opera di metacinema in cui il regista, nel dirci che si è obbligati a creare nuove specie perchè i bimbi di adesso sono abituati agli stegosauri pare cercare di dare giustificazione ad una trama per lo più banale ma da cui non si pretende più di tanto se non tentare di riportare in auge l'atmosfera di stupore e di meraviglia che oggi, per i nativi digitali abituati ai vari Star Wars, Godzilla & Co., danno sempre più per scontata. Il plot, semplicissimo e ridotto all'osso, nella miglior tradizione spilberghiana fa da pretesto per dar sfogo oltre che al'avventura anche al trionfo dei buoni sentimenti. In film come questo la logica non può mai far da padrona, ma andare a vedere una pellicola dove l'uomo decide di far convivere uomini e dinosauri carnivori su un appezzamento di terra in mezzo al mare e criticare l'assurdità di certe situazioni sarebbe davvero stupido. Si potrebbero elencare decine e decine di situazioni paradossali in cui, tolti i dinosauri, non resterebbe nulla da raccontare, quel che invece si apprezza è l'omaggio, il costante riferimento e il rispetto mostrato da Trevorrow verso Spielberg. 


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I personaggi, pur non avendo continuità rispetto al predecessore, seguono più o meno la caratterizzazione e l'evoluzione mostrata nell'opera prima con la differenza di trovare una bellissima Bryce Dallas Howard in in sostituzione del recentemente scomparso Richard Attenborough ad interpretare il ruolo di Claire Dearing. A far le vesti del duro di turno troviamo poi l'ex marine Owen Grady (Chris Pratt) che fra velociraptor addomesticati, T-rex redivivi e corse in moto nella giungla deve anche badare ai nipoti di Claire, Zack e Gray. 


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Ovviamente non manca la sottotrama con tanto di "traditore" e di intervento da parte di governativi senza scrupoli (Vincent D'Onofrio fra tutti) così come il finale ultra trionfale e cooperativo.

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Cos'è quindi Jurassic World? Sostanzialmente è Jurassic Park senza la finezza registica di Spielberg ma con gli omaggi di un suo grande fan. Non se ne potrà apprezzare l'originalità, visto che i trailer svelano praticamente tutto della trama, ma quanto meno Trevorrow mette in scena un comparto effetti speciali in grado di mostrare dei velociraptor più inquietanti che mai oltre ad una folta fauna preistorica di contorno sempre ben realizzata. Anche gli strizzamenti d'occhio a Spielberg nelle inquadrature, nelle scene di fuga e nelle location, seppur continui appaiono comunque gradevoli, perfino il 3D è utilizzato in maniera egregia.
In tutto questo alla fine  si nota l'assoluta mancanza di uno sforzo crerativo superirore capace di dare giusto spazio ad un cast che già di per se funziona ma che con elementi del calibro di Vincent D'Onofrio e Omar Sy avrebbe sicuramente consentito di realizzare qualcosa che va oltre la continua caccia all'uomo che l'Indominus Rex si limita a condurre attraverso la banalità e scontatezza della trama. La pellicola di Trevorrow serve semplicemente a rispolverare il meraviglioso parco a tema nato dall'immaginazione di Michael Crichton permettendo così di fornire ai più giovani spettatori l'occasione di vedere sul grande schermo i bestioni preistorici che ancora sanno stupire e meravigliare. Peccato solo che sarebbe bastato riproporre una bella versione rimasterizzata del primo Jurassic Park per raggiungere questo obiettivo e alla fine Jurassic World più che un remake a mio personale modo di vedere è una grande occasione mancata.

lunedì 26 gennaio 2015

Big Eyes

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Gli occhi sono lo specchio dell'anima. Da questo incipit nasce tutto lo stile unico su cui la pittrice Margaret Ulbrich Keane ha basato la propria carriera e su cui il regista Tim Burton costruisce la sua biografia cinematografica.

Ulbrich sotto al quadro Quella della Ulbrich ci viene dipinta sin dal principio come una vita difficile, fatta di errori a cui si cerca di rimediare fuggendo. Peccato che i fantasmi del passato tornino sempre a bussare alle nostre porte e cercare di nascondere con la menzogna le proprie debolezze si rivela sempre un gioco sporco difficile da mantenere nel corso degli anni.  

Margareth (Amy Adams) è una madre single per scelta visto che ha abbandonato il primo marito fuggendo con la figlia a San Francisco. Grazie all'appoggio dell'amica DeeAnn (una sempre più splendida Krysten Ritter) Meg trova lavoro come decoratrice presso un'azienda di mobili. Per cercare di racimolare qualche soldo in più Margareth fa anche la ritrattista per strada e nel contempo cerca di vendere le sue opere, quadri semicaricaturali che raffigurano bambini dagli occhi enormi.

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Waltz non fa mistero della falsità del suo personaggio
È in questa occasione che viene notata da Walter Keane (Christoph Waltz) agente immobiliare col pallino per l'arte che sostenendo il talento della donna cerca di venderne le opere. La lenta opera di plagio che Keane opera sulla protagonista ci viene mostrata attraverso una recitazione decisamente sopra le righe con cui Waltz non fa mistero della falsità del suo personaggio che dapprima si offe di sposare Margareth per toglierla da un impiccio legale e poi le ruba l'identità spacciando per proprie le opere della moglie che grazie ad un’intuizione per i tempi a dir poco geniale raggiungono un successo sopra ogni previsione.  
Big Eyes sostanzialmente è una storia d'amore
Amore per un uomo, per una figlia ma soprattutto per l'arte. Un sentimento per lo più inespresso a causa di un carattere complesso, remissivo frutto di continui abusi e schiacciamenti della personalità che Amy Adams riesce a trasmettere con le proprie espressioni e le sue movenze sempre delicate cui si contrappone il marito con la sua irruenza e sfacciataggine che in più di un’occasione sfocia volutamente nel grottesco.  
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Nulla da ridire sulla scelta degli altri comprimari fra cui spiccano, oltre alla Ritter, anche Danny Huston e Terence Stamp, ma vedendo la pellicola si ha proprio l’impressione che Burton abbia giocato moltissimo sulla duplicità caratteriale dei protagonisti incastrando attorno altri personaggi che fungono da contorno minimalista.

big eyes01Il tocco unico del regista è costantemente celato dietro l'incredibile uso del colore, ma si vede benissimo anche nell’algido bianco e nero delle riprese televisive dell’epoca e nel sapiente uso delle luci cui Burton ci ha sempre abituato e con le quali gioca benissimo per dare risalto ad occhi e volti più che mai. Il vero marchio di fabbrica si manifesta esplicitamente nel comparto musicale affidato ancora una volta a Danny Elfman e, visivamente, in un paio di occasioni, entrambe all'inizio della pellicola che sembrano quasi un'autocitazione o un omaggio ai fan più accaniti. [spoiler] Mi riferisco alla scena iniziale dove vediamo il dettaglio dei meccanismi della tipografia che ritmicamente stampano i manifesti della pittrice e nell'inquadratura successiva dove ci viene mostrato un quartiere molto simile a Burbank o al complesso residenziale dove è ambientato Edward Mani di Forbice da cui si fugge attraversando una collina (elemento sempre ricorrente in Burton che rappresenta il concetto di isolamento). [/spoiler] Per il resto il regista pare essersi dedicato anima e cuore a descrivere gli stati d'animo della protagonista, pioniera della rivolta femminista a cavallo tra gli anni '50 e '60 in cui l'arte "non è cosa per femmine" e in cui la separazione o il divorzio sono un ostacolo al trovare lavoro. 
Ulbrich sorridente    Margareth non si arrende mai, dopo il plagio e il sopruso arriva infatti la reazione che ci viene preannunciata da un momento in cui anche il regista esce fuori dal suo nascondiglio regalandoci dapprima un momento di visione onirica tutto suo e una seconda fuga in notturna le cui atmosfere sono tipicamente Burtoniane. Big Eyes è un film che mi è piaciuto moltissimo, i 105 minuti in cui si dipana la trama scorrono in un attimo e non ho trovato nessun momento morto nella sceneggiatura di Scott Alexander e Larry Karaszewski. 
     
BIG EYESLa vita di Meg scorre dinanzi gli occhi dello spettatore che assiste inerme ai soprusi che la donna accetta dapprima per amore e successivamente perchè ormai rivelare la truffa farebbe crollare tutto il castello di menzogne su cui si regge la sua ricchezza e conseguentemente la sua dipendenza dal marito.
L'unico momento di incertezza a mio parere si trova nel terzo atto del film
L'unico momento di incertezza a mio parere si trova nel terzo atto del film, dove gli eventi si susseguono con un po' troppa rapidità senza dare spiegazione a una soluzione che arriva tramite un'illuminazione religiosa. Altro lieve momento di calo si avverte nella scena che vede protagonista un celebre industriale italiano dell'epoca e in cui è stato mantenuto l'audio della versione originale che non lascia dubbio sulla presenza di comparse italo-americane non particolarmente brillanti nella recitazione. Burton non è nuovo alle biografie ma sebbene il suo precedente lavoro di genere dedicato al regista Ed Wood fosse intriso di tutto il suo stile e permeato da notevoli licenze d'artista, nel portare sullo schermo la vita della Ulbrich il regista ha cercato di rimanere il più possibile fedele alla realtà, in tutti i sensi. La ricostruzione degli ambienti, dei costumi e dei caratteri è assolutamente affine al contesto storico in cui il film è ambientato, periodo molto caro al regista perchè affezionatissimo alle produzioni cinematografiche dell'epoca. 
     
big eyes02Le tinte pastello degli abiti che la onnipresente Colleen Atwood (costumista che segue il cineasta dai tempi di Edward Scissorhands e si è guadagnata l'oscar nel 2011 con Alice in Wonderland) si amalgamano perfettamente alle architetture sgargianti di Rich Hinrichs (con Burton già ai tempi del primo Frankenweenie) donando all’insieme la stessa solarità che si respirava in Big Fish e nonostante le piccole parentesi oniriche l'insieme è sempre molto credibile.          
 
Tim-BurtonProbabilmente complice di questa scelta è la profonda amicizia che lega Burton alla protagonista del film, arzilla vecchietta ultrasettantenne di cui Burton, in epoca non sospetta, ha iniziato a collezionare i quadri perchè affini al suo stile. E in effetti il cineasta di Burbank ha da sempre infarcito le sue pellicole con protagonisti dagli occhi enormi, che fossero creature animate come Jack Skellington o Victor Van Dort o attori capaci di bucare con lo sguardo il pesante make up o le maschere come Edward/Depp o lo stesso Batman/Keaton Burton pare sostenere da sempre il motto della Ulbrich. 

Grazie a questa alchimia la fusione tra le opere e l’autrice è perfetta e i protagonisti del film sono gli occhi dipinti da Margareth cui viene dedicata l’ultima gioiosa inquadratura prima di dare spazio alla conclusione tipicamente biografica che un pellicola di questo genere, così ben diretta, deve necessariamente dare allo spettatore.

venerdì 21 novembre 2014

Ghostbusters

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Perché preoccuparsi? Ognuno di noi porta sulla schiena un acceleratore nucleare non autorizzato.

Dopo il post su Howard the Duck e quello su Labirynth arriviamo a parlare di un'altra icona del cinema anni '80, Ghostbusters, e lo facciamo proprio in occasione del 30° anniversario dall'uscita nelle sale della pellicola.
 
Ghostbusters nasce dalla passione dell'attore Dan Aykroyd per il paranormale. L'idea di realizzare una "commedia fantastica" iniziò a balenare nella testa di Aykroyd quando ancora calcava il palco del Saturday Night Live. Per questo motivo il progetto inizialmente prevedeva il coinvolgimento di gran parte del cast della celebre trasmissione televisiva: i primi acchiappafantasmi sarebbero dovuti essere, oltre ad Aykroyd, John Belushi ed Eddie Murphy.

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Anche la stesura del soggetto iniziale era nettamente differente: Aykroyd aveva sviluppato una trama che vedeva gli acchiappafantasmi come degli scienziati in grado di varcare una dimensione parallela alla realtà e in cui, viaggiando attraverso lo spazio e il tempo, sarebbero andati a caccia di spiriti ed esseri soprannaturali. Anche il celebre zaino protonico è un'idea sviluppata successivamente, inizialmente gli acchiappafantasmi erano dotati di un'equipaggiamento differente che prevedeva un elmetto e una bacchetta simile a quella di un mago collegata tramite da un cavo ad un dispositivo collocato sulla schiena ancora molto distante dal concetto di proton pack. 

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La morte di John Belushi fu il primo avvenimento che portò ad un cambiamento nella stesura del copione. Per superare il lutto Aykroyd trascorse tre settimane in villeggiatura assieme a Harold Ramis e in quel periodo i due iniziarono a modificare profondamente lo script che peraltro era già stato giudicato un po' troppo impegnativo in termini di budget da Ivan Reitman. Col supporto di Ramis vennero sviluppati gli zaini protonici, la trappola, il dispositivo di stoccaggio, la Ecto-1 e la caserma. Nel frattempo l'ingaggio di Eddie Murphy per il primo episodio di Beverly Hills Cop ed il conseguente subentro di Ernie Hudson per interpretare Winston Zeddmore diede lo spunto per rivedere integralmente il cast della pellicola. Steve Guttenberg (Mahoney nella serie Scuola di Polizia) inizialmente interpellato per il ruolo di Peter Venkman venne sostituito da Bill Murray con cui Aykroyd e Ramis avevano già avuto esperienze lavorative. John Candy, cui era affidato il ruolo di Louis Tully, venne sostituito da Rick Moranis ritenuto da Reitman più adatto al personaggio (pare che Candy volesse interpretare il ruolo sfoggiando un pesante accento tedesco). Harold Ramis, inizialmente non coinvolto nel nel cast venne successivamente scriturato per il ruolo di Egon Spengler perchè nessun altro candidato risultò adatto al ruolo mentre Ramis, avendo contribuito così tanto allo sviluppo del soggetto, era perfetto nella parte dello scienziato del gruppo.  

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È la camera da letto, ma lì non è successo mai niente. Che delitto!

RipleyA questo punto mancavano giusto un paio di comprimari e soprattutto il ruolo della protagonista femminile. Per caratterizzare al meglio il personaggio di Dana Barrett e l'importante mutamento di personalità subito dalla stessa durante lo svolgimento della trama, la scelta ricadde su Sigourney Weaver. L'attrice, oltre ad aver già dato grande prova di carisma in una precedente pellicola firmata da nienetepopodimenoche Ridley Scott e intitolata Alien, si fece particolarmente notare durante il casting mettendosi letteralmente ad abbaiare a quattro zampe dinanzi il regista. Reitman aveva trovato la perfetta interprete per il ruolo ideato! 
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Come per tutte le pellicole del genere il primo dilemma da risolvere una volta individuato il cast di attori in carne ed ossa fu quello di stabilire come realizzare gli altri protagonisti del film ovvero le creature soprannaturali con cui gli acchiappafantasmi avrebbero dovuto avere a che fare.

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Inizialmente il team degli effetti speciali aveva previsto l'utilizzo di sovraimpressioni, disegnando a mano gli effetti direttamente su un foglio di acetato trasparente da sovrapporre alla pellicola, ma la resa non soddisfò appieno Reitman così, dopo un paio di test si optò per una tecnica mista impiegando delle marionette e aggiungendo poi gli effetti di sovraimpressione. Per animare il mastro di chiavi e il guardia di porta venne impiegata la tecnica stop-motion e marionette mentre per la scena del famosissimo Omino Marshmallow si ricorse ad un attore all'interno di una tuta filmato ad elevato numero di fotogrammi e poi rallentato per dare il senso si mastodonticità del personaggio (tecnica chiamata suitmation e mutuata dalle pellicole di Godzilla & soci) mentre per le espressioni del volto venne utilizzato un animatronic.   

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C'è un grave logoramento di tutte le strutture portanti, impianti idrico ed elettrico del tutto inadeguati alle nostre esigenze, e il circondario sembra una zona smilitarizzata... Questo edificio dovrebbe essere evacuato.

Le riprese si svolsero solo in parte a Manhattan dove è realmente situato il quartier generale degli acchiappfantasmi che altro non è se non una caserma dei pompieri nota come Hook and Ladder Number 8 all'interno della quale è ancora presente l'insegna con l'inconfondibile logo. Per gli interni del quartier generale invece si optò per una caserma di Los Angeles e analogo discorso venne fatto per la scena dell'hotel i cui esterni sono quelli dell'Algonquin Hotel di New York mentre gli interni appartengono al Biltmore Hotel di Los Angeles. La scena iniziale è invece girata all'interno della New York Public Library mentre il complesso che racchiude gli appartamenti di Dana e Louis è situato al 55 di Central Park West ma non è il grattacielo che si vede nel film. 
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Gli esterni vennero infatti ricostruiti mediante dei matte e delle sovrimpressioni perché le scene delle esplosioni così come la battaglia con Gozer vennero girate in studio.     

Ray, quando qualcuno ti chiede se sei un dio tu gli devi dire sì!

La pellicola uscì nei cinema degli Stati Uniti nel giugno del 1984 (da noi il 24 novembre) e si calcola che dalla programmazione riuscì ad incassare la cifra 434.286.000,00 dollari a fronte di un budget di 32.000,00 aggiudicandosi il titolo di miglior film di quell'anno ed entrando successivamente a far parte nella lista delle miglior commedie americane di sempre.
Il lancio della pellicola fu effettuato mediante una campagna di marketing piuttosto efficace: in prossimità dell'uscita del film, sulle auto parcheggiate per le strade di New York vennero attaccati adesivi raffiguranti il logo degli acchiappafantasmi.     

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Siamo pronti a credere in voi!

In televisione fu mandato in onda a rotazione il trailer del film contenente la scena dello spot pubblicitario degli Acchiappafantasmi appositamente modificato. Il numero di telefono con il prefisso 555 presente nella pellicola venne modificato co un numero reale che se composto permetteva di ascoltare un messaggio registrato da Dan Aykroyd e Dave Murray del tipo "Ciao! Siamo a caccia di fantasmi ora". Il numero ricevette circa 1000 chiamate all'ora, per sei settimane. 

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Il successo di Ghostbusters, oltre a generare un sequel (non all'altezza dell'originale), una serie animata proseguita per 3 stagioni, uno spin-off dedicato a Slimer e svariate testate di fumetti, fu in parte dovuto anche alla stupenda colonna sonora che accompagnò il lancio del film.  
Il film è diventato sin dal principio un fenomeno mondiale e il merchandising che accompagna la pellicola è in continuo aumento. La t-shirt con il logo degli acchiappafantasmi è in produzione dal 1984 e al primo videogames, realizzato sempre nell'ottantaquattro da Activision per differenti piattaforme, sono seguiti altri 12 titoli.   
In contemporanea con lo sviluppo della serie animata vennero ideate diverse linee di giocattoli e successivamente numerose action figures. Recentemente la serie "lego ideas" ha fatto uscire il kit dedicato alla Ecto-1 contenente anche i 4 protagonisti e da poco è partita la raccolta adesioni per realizzare anche il quartier generale.

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In occasione del 30° anniversario è poi stata realizzata una limited edition della colonna sonora, pubblicata su vinile bianco corredato da foto e cartoline lenticolari, il tutto racchiuso in un astuccio la cui superficie simula la consistenza e il profumo di un marshmallow. Sempre per l'anniversario è stata lanciata sul mercato anche una nuovo cofanetto contenente i blu-ray di entrambe le pellicole e nuovi contenuti speciali. 
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Per diverso tempo si è parlato di un terzo capitolo della saga degli acchiappafantasmi e le voci sono state le più disparate. Sul web i rumors parlavano inizialmente di una stesura scritta ancora una volta da Ramis e Aykroyd, successivamente però è stato ufficializzato l'affidamento del progetto a Lee Eisenberg e Gene Stupnitsky che pare sia stato categoricamente bocciato da Murray (si legge che l'attore abbia restituito il copione ad Aykroyd dopo averlo ridotto in coriandoli costringendo la produzione a valutare un intero cambiamento del cast). Il sito Bloody Disgusting da pochi giorni ha anche pubblicato quella che pare essere la versione ufficiale della prima sceneggiatura, ecco la traduzione realizzata dal sito Best Movie

Gli Acchiappafantasmi non lavorano più in proprio ma sono diventati una vera e propria corporation, la Ghostbusters Inc. Il cui direttore Todd Prendaghast, però (che tiene Slimer rinchiuso in un’unità di contenimento di vetro appesa al muro come trofeo) ha declassato Ray e Egon da titolari della società a posizioni minori, perché ritenuti responsabili della distruzione del Triborough Bridge durante il combattimento con uno spirito maligno.Anche Winston è presente, ma lavora come meccanico. Con loro c’è anche Oscar Barrett, figlio di Dana. Peter, invece, è diventato sindaco di New York City dopo aver vinto le elezioni con una campagna… anti Ghostbusters, motivo per cui i suo ex colleghi e amici hanno perso contatti con lui.Janine gli fa da segretaria e consigliera personale.Le cose cambiano quando sulla Grande Mela comincia ad aleggiare lo spirito di un certo Wolfram Von Grauen, architetto dell’800 impazzito e poi rinchiuso nel manicomio di Staten Island. La città è in preda al panico, così Peter riesce a convincere Prendaghast a riconsegnare a ray e Egon il posto che gli spetta e, liberato Slimer e ripreso il volante della Ecto 1, si lanciano nella nuova missione, non prima di aver reclutato nuove reclute tra cui Oscar. Nella battaglia finale, con i suoi poteri lo spirito di Grauen ha evocato una piovra gigante dall’oceano e l’unico modo per annientarla è incrociare i flussi. Peter prende quindi il posto di Oscar per salvargli la vita e, consci dei rischi, gli Acchiappafantasmi riescono a vincere, morendo però nell’esplosione. A distanza di anni, la Ghostbusters Inc. viaggia a gonfie vele, e nell’ultima scena Janine incrocia i fantasmi di Peter, Ray e Egon, impegnati a giocare a carte. 
Dopo la morte di Ramis (spentosi nel febbraio di quest'anno) il progetto pare aver preso una svolta differente e dopo l'uscita ufficiale di Ivan Reitman dal progetto, recentemente Paul Feigh ha annunciato che dirigerà un nuovo episodio che, tanto per cambiare, si vocifera sia un reboot tutto al femminile.   [minipost]http://leganerd.com/2014/10/09/ghostbusters-3-si-fara/[/minipost]     A prescindere da quel che verrà fatto, la prima pellicola rimane e rimarrà un masterpiece del cinema. Il logo dei Ghostbusters è entrato a far parte della cultura popolare al pari del fregio di Batman o di qualsiasi altro supereroe e il film, pur avendo 30 anni, è all'altezza delle moderne produzioni hollywoodiane. 

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Se vi capita di fare un salto a New York andate nel quartiere Tribeca e fermatevi dinanzi la Hook & Ladder n°8. 
     
Dalla saracinesca della basculante da cui escono i camion dei pompieri è visibile l'insegna del secondo capitolo mentre sull'asfalto, accanto al graffito raffigurante l'effige della caserma (che peraltro consiste in un fantasma con elmo da pompiere), sono ancora presenti i fiori che i fan della serie continuano a portare come omaggio ad Harlod Ramis...       

lunedì 4 agosto 2014

Apes Revolution - Il Pianeta delle Scimmie

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George Orwell aveva ragione! Se dovessi riassumere con una frase il plot del secondo capitolo del reboot di questa saga fantascientifica potrei semplicemente limitarmi a questo.

Già perché rispetto al precedente capitolo, di cui avevo già parlato  qui, la pellicola passa nelle mani di Matt Reeves (amico d'infanzia di J. J. Abrams nonché regista di Cloverfield) che affronta la problematica del rapporto tra scimmie senzienti e umani secondo la sua personale catastrofica visione. Sono passati 10 anni dal primo film e dalla spettacolare battaglia combattuta sul Golden Gate alla fine della quale le scimmie, rese intelligenti da un farmaco sviluppato come potenziale cura contro l'Alzheimer, si sono rifugiate nella foresta di sequoie di Muir Woods. L'umanità è stata decimata da un virus, effetto collaterale delle ricerche scientifiche effettuate sui primati e diffuso a seguito della fuga in massa delle cavie dai laboratori di ricerca. A San Francisco una piccola comunità di sopravvissuti capeggiata da Dreyfus (Gary Oldman) ha terminato i rifornimenti di gasolio per i propri generatori diesel, l'unica speranza è data dalla diga che si trova nella vicina foresta che, se rimessa in funzione, permetterebbe il ripristino dell'elettricità. Una spedizione di uomini si addentra nel bosco dove ad attenderli trova una vera e propria società di scimmie capeggiate da Cesare, lo scimpanzé protagonista del precedente episodio.  
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Il punto di partenza di questa nuova incarnazione della saga dei primati è indubbiamente catastrofico.

Reeves dopo aver mostrato gli effetti della pandemia scatenatasi al termine del primo episodio con la più classica delle introduzioni, gioca tra il parallelismo sottolineando il progresso della società delle scimmie rispetto alla desolazione vissuta dai pochi superstiti. Gli scenari urbani mostrano una San Francisco ricostruita nei minimi dettagli sopraffatta dalla natura. Le strade e i palazzi, ricoperti di vegetazione, così come gli esseri umani, vestiti di abiti logori e sporchi, paiono presi in prestito da una schermata di The Last of Us e ciò è un pregio. 

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Dall'altro lato troviamo le scimmie, organizzate in una società ancora in evoluzione, ma in perfetta armonia con la natura. Il precario equilibrio conquistato a fatica dai primati viene sconvolto dall'ingresso degli umani nella loro società e dalla compassione che Cesare, memore dell'amicizia col dott. Rodman (James Franco), mostra nei confronti del capo spedizione Malcom (Jason Clarke). La scelta del leader non viene condivisa dalla comunità e in particolare da Koba, scimmia bonobo ex cavia da laboratorio che nutre uno smisurato odio nei confronti degli umani. La messa in discussione dell'autorità, unita alla meschinità dell'uomo sarà il focolaio da cui si verrà a scatenare una nuova rivolta.
 
Seppur meno coinvolgente del predecessore sotto il profilo empatico Apes Revolution ha comunque il pregio di mostrare in modo credibile la progressiva corruzione di una società pura attraverso la biechezza degli esseri umani. Che si tratti dell'odio di un animale scatenato dalla crudeltà delle torture infertegli in onore della scienza o della semplice stupidità di chi continua a chiamare aniamale ciò che ormai non lo è più, lo stravolgimento dell'equilibrio è reso in maniera impeccabile e sfocia in un'odio estremo al termine del quale, come ne "La Fattoria degli Animali" di Orwell, ci si interroga su chi abbia ragione.   

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A circondare questo interrogativo troviamo una realizzazione tecnica davvero impeccabile che mostra tutta la drammaticità delle sofferenze patite dai primati attraverso una computer grafica unica supportata ancora una volta da Andy Serkis, vero Maestro del motion capture, capace di dare a Cesare delle espressioni credibili. Osservando le scene di massa ci si rende conto del progresso che è stato fatto dalla cg sia nei volti che nelle movenze delle scimmie. Tutti i primati, dalla vecchia conoscenza dell'orango Maurice a qualsiasi altro membro della comunità, sono realizzati con una cura maniacale dei dettagli e sebbene il più delle volte si esprimano con segni o versi gutturali ci si appassiona comunque nel seguirne le gesta.
 
Ci sono però delle pecche di non poco conto come una generale lentezza di fondo e una narrazione degli eventi che in più occasioni non brilla troppo per coerenza. È inevitabile sorridere vedendo in quale casa, tra le migliaia di edifici presenti a San Francisco, si rifugiano i protagonisti per sfuggire alle scimmie, e altrettanta ilarità viene suscitata dalla ridicola campagna di product placement che Apple imperterrita continua a portare avanti dal precedente film (e in un futuro post apocalittico inserire uno pseudo spot dell'iPad è davvero triste!). Analogo discorso per le centinaia di migliaia di munizioni che gli umani sprecano...non si tratta di grosse cadute di stile, ma di semplici scelte che personalmente non ho trovato azzeccate.

Ben più grave è il fatto che l'attenzione mostrata nella costruzione dei ruoli dei primati non trovi il giusto raffronto con le controparti umane. Gary Oldman si limita al minimo contrattuale più o meno come in Robocop, e i ruoli assegnati al resto del cast non brillano certo per originalità regalando alla trama prevedibilità e scontatezza contribuendo alla lentezza generale del ritmo. Nonostante questi difetti Apes Revolution rimane comunque un buon film, troppo diverso dal predecessore per poter suscitare le stesse sensazioni di coinvolgimento ed empatia, ma in ogni caso capace comunque di destare più di una riflessione grazie al sapiente gioco di raffronti che, tra dilemmi socio-esistenziali e scene belliche degne dei migliori war movie, porta verso il finale. Probabilmente con un cast più impegnato e una riduzione del minutaggio sarebbe venuto fuori qualcosa di superiore, ma già così merita comunque la visione sollevando grandi aspettative riguardo a quel che ci aspetterà nel terzo capitolo, vero trait d'union tra questo reboot e la saga classica.   

giovedì 5 giugno 2014

X-Men giorni di un futuro passato

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Dopo il deludente secondo capitolo dedicato a Wolverine i mutanti tornano al cinema nuovamente diretti da Brian Singer.

Il ritorno dietro la macchina da presa del primo regista della saga è sicuramente indicativo del fatto che dopo l'altrettanto poco riuscito "X-Men: Conflitto Finale" fosse necessario sfruttare l'ondata di successo de "Le Origini" dando ai fan il giusto connubio fra presente e passato.
Riuscire a scrivere una sceneggiatura in grado di dare continuità alle varie peripezie vissute dai mutanti nell'arco di 14anni di pellicole non è certo un compito semplice, ed è per questo che Singer congela parte degli avvenimenti di Conflitto Finale presentando al pubblico uno Xavier ed un Magneto in piena forma ed alleati, di cui ci era già stato dato un assaggio nella scena post titoli di coda di "Wolverine l'immortale".   

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Senza dilungarsi in spiegoni iniziali la pellicola sbatte in faccia allo spettatore la guerra tra umani e mutanti che si sta combattendo nel prossimo futuro. Braccati dalle sentinelle, macchine da guerra col potere di assimilare i poteri dai mutanti, i seguaci di Xavier e Magneto appaiono incapaci di difendersi dagli attacchi. L'unica speranza per sopravvivere sembra essere data da Kitty Pryde (Ellen Page) che con i suoi poteri manda la coscienza di Wolverine (Hugh Jackman) indietro negli anni settanta per cercare di impedire il programma di sviluppo delle sentinelle da parte del professor Bolivar Trask.   

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Giunto indietro nel tempo Logan dovrà cercare di convincere i giovani Charles Xavier (James Mc Avoy) e Erik Lehnsherr (Michael Fassbander) ad allearsi per un fine comune, ma i dissapori narrati nel prequel "Le Origini" non renderanno il compito semplice.

Sin dal primo fotogramma la pellicola di Singer appare travolgente ed esagerata. Dopo una sequenza iniziale iperdinamica il regista proietta lo spettatore negli anni settanta cercando di evidenziare in ogni modo il contesto in cui si svolge gran parte della trama. Questa viene per lo più portata avanti dalle gesta di Mystique e di Logan che occupano gran parte delle scene assieme a Xavier, Bestia e Magneto, anche se una delle sequenze più interessanti e spettacolari ci viene regalata da Quicksilver (Evan Peters) uno dei personaggi introdotti in questa pellicola. Probabilmente l'ultimo episodio della saga dei mutanti ha il difetto di puntare tutto sull'esagerazione. 

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L'eccesso si respira infatti in ogni angolo: il cupo e angosciante futuro, in cui non splende più nemmeno il sole è così esagerato da risultare stereotipato e profondamente posticcio così come gli anni settanta sono a tratti grotteschi seppure l'ambientazione risulti sempre molto ben curata. Anche gli scontri sono portati davvero all'estremo così come la sofferenza mostrata da Xavier ma sicuramente l'aspetto che accusa più di tutto questa mania di grandezza è la sceneggiatura.   

 

peter-dinklage-character-imageIl cast di Days of Future Past è davvero incredibile: in poco più di due ore di pellicola vengono collocati più di venti personaggi chiave con rimandi ai precedenti episodi (Striker) ed intrecci con la trama del nuovo film. Come se ciò non bastasse vengono collocati anche degli spunti narrativi inediti che strizzano l'occhio al contesto storico-politico in cui sono inseriti (Kennedy e Nixon) cercando di dare nuovo sviluppo ai rapporti tra i protagonisti. 

Ciò che a mio modo di vedere stupisce è il fatto che questa palese fiera dell'eccesso nonostante tutto regge e, salvo un momento davvero soporifero e un altro paio dominati dal nonsense, non stufa lo spettatore ma, al contrario, lo tiene incollato alla poltrona nell'attesa di vedere se davvero il futuro può cambiare o ormai quel che è deciso dal destino è legge. Complici di questo risultato sono sicuramente gli attori che portano avanti lo sviluppo della trama. Oltre all'ormai ben rodato Jackman si apprezza moltissimo Jennifer Lawrence nel ruolo di Raven così come Peter Dinklage in quello di Trask. Anche Fassbander conferma le sue doti recitative regalando un giovane Magneto al pari della controparte anziana affidata a Mc Kellen.
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Spettacolare anche il comparto degli effetti speciali che ha permesso di realizzare due tipologie di sentinelle davvero notevoli. Probabilmente la pecca che più si nota nell'aver messo così tanta carne al fuoco è il fatto che certi sviluppi futuri della trama ci vengono rivelati con una semplice battuta (come quella di Pietro Maximof su suo padre) ma anche questa può essere una scelta di stile.

Onestamente ho apprezzato la pellicola di Singer perchè a mio modo di vedere costituisce un incredibile azzardo.

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Pensare di portare in un unico film praticamente tutto il cast delle precedenti pellicole è uno sforzo che davvero merita un grande apprezzamento ma nel contempo è una scelta che comporta anche il sacrificio di alcuni ruoli che, seppur portati su pellicola da attori che si sono fatti apprezzare in lavori precedenti (Omar Sy è solo uno dei tanti esempi), sono limitati ad apparizioni di pochi minuti se non addirittura secondi. Non era possibile dare coerenza e continuità a tutto l'universo cinematografico della saga e forse è proprio per questo che l'inizio del film è costruito come una sorta di ingiustificato salto nel vuoto, vero pretesto o escamotage per voltare pagina rispetto al mediocre terzo capitolo. Probabilmente il difetto più grave, su cui non riesco proprio a soprassedere, è l'approssimatività con cui si è voluto mostrare il futuro. Anche questa è sicuramente una scelta dovuta al fatto che gran parte della trama si svolge altrove, ma quelle quattro pagode immerse nell'oscurità non mi hanno proprio detto nulla.
quicksilver-x-men-days-of-future-pastPer il resto, se si riesce a soprassedere su alcuni sviluppi un po' troppo sbrigativi (qualcuno sta forse pensando alla sequenza del binario che viene plasmato da Magneto ed inserito dentro alla sentinella?) e al fatto che certi personaggi sono stati relegati al semplice ruolo di comparsa, "Giorni di un futuro passato" è una pellicola da vedere, anche solo per il semplice fatto di costituire nel contempo tanto l'epilogo quanto il punto di partenza per il reboot dell'intera saga, ma per capirlo conviene attendere la fine dei titoli di coda.dell'intera saga, ma per capirlo conviene attendere la fine dei titoli di coda.

venerdì 16 maggio 2014

Godzilla, una carriera lunga 60 anni rovinata ancora una volta dagli americani!

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Ieri sera ho finalmente pouto vedere i secondo remake americano di Godzilla, e dico "finalmente" perchè l'hype intorno a questa pellicola è stato qualcosa di allucinante per il sottoscritto. 

Bene o male attribuisco a Godzilla (e a Megaloaman) il motivo principale per cui sono diventato un appassionato di cinema. So che una frase simile può davvero far sorridere, ma è stato guardando quelle produzioni così anomale che mi è venuta la curiosità di comprendere cosa potesse mai esserci dietro la scelta di infilare un attore dentro ad un costume sperando di far passare per realistiche le scene di distruzione di massa causate da un essere posticcio. 

gojira_smallHo visto il mio primo film di Godzilla ad appena 7 anni, si trattava de "Il trionfo di King Kong", pellicola del 1962 allora trasmessa da una rete locale, e sono rimasto totalmente affascinato dalla semplicità con cui il regista era riuscito a creare dell'intrattenimento puro e semplice. Da allora non ho più abbandonato la saga del lucertolone atomico e, arrivato all'adolescenza, sono riuscito a procurarmi in VHS altri film come "Ai confini della Realtà" (il terribile titolo italiano dato a Gojira tai Megalon) e a collezionare le rare locandine italiane di queste pellicole. 

Finalmente, quando ormai ero all'università la Yamato Video ha doppiato e immesso sul mercato home video anche i film degli anni '90, e grazie alla fantastica libreria Mondo Bizzarro di Bologna sono riuscito a recuperare quasi tutta la filmografia di Godzilla acquistando costosissimi VHS inglesi.

 Scrivo tutto questo non per autocelebrarmi (anche perchè cosa ci sia di meritevole nell'aver speso così tanto tempo e denaro per guardare dei film) ma per far comprendere a chi mi legge che ho atteso con profonda ansia il film che ho visto ieri sera, e sono rimaso profondamente deluso.

 La delusione più grossa l'ho avuta da Garreth Edwards, il regista della pellicola, perchè ho apprezzato moltissimo il suo precedente lavoro "Monsters" di cui tempo fa ho parlato sul mio blog personale. Quando ho saputo della sua presenza dietro a questo progetto il mio entusiasmo è schizzato alle stelle perchè chi ha visto il suo precedente film sa bene che il pregio più grande di Monsters sta nell'essere parzialmente riuscito ad amalgamare alla perfezione degli aspetti non proprio omogenei quali il problema dell'immigrazione, il complesso di un figlio che non è all'altezza del padre, una storia d'amore e l'invazione della terra da parte di mostri alieni, e il tutto con un mockumentary!!! Considerando che questa nuova incarnazione di Godzilla era affidata alle mani di Edwards, quando ho sentito dal trailer inglese che si faceva riferimento agli espreimenti del 1954 ho subito sperato che il punto di partenza fosse proprio il primo Gojira di Honda, la pellicola più drammatica e toccante dell'intera saga nipponica poi sfociata negli anni in qualcosa di completamente differente e relgata ad un pubblico di bambini. 

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Già perchè Godzilla, o meglio Gojira, non è altro che uno spauracchio, la metafora di un terrore profondamente vissuto da una nazione che si è sentita impotente dinanzi ad una forza estranea di dimensioni sovraumane, capace di radere al suolo una città.

Il terrore vissuto con l'esplosione della bomba su Hiroshima è stato reinterpretato da Hishiro Honda utilizzando ciò che per eccellenza in natura è già di per sè un incredibile effetto speciale: i dinosauri. Sin dai titoli di testa (dove eccheggia il nome di Yoshimitsu Banno tra i produttori esecutivi) il film di Edwards dà prova di calcare molto bene il clima di minaccia. La prima parte del film è costruita maggiormante attorno a due protagonisti e tenta di introdurne la psicologia unicamente attraverso il trauma della perdita di un affetto che ha contribuito alla loro separazione. A mio modo di vedere è qui che il regista ha davvero dato il meglio di sè riuscendo perfettamente a catturare tanto l'angoscia ed il terrore verso alcune minacce e disgrazie attuali (tsunami, tragedia di fukushima, 9/11) quanto il senso di desolazione e di tristezza che si prova dopo averle subite sulla propria pelle. 

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[spoiler] Il rientro a casa dei protagonisti a 15 anni dall'incidente della centrale atomica è reso in maniera esemplare. [spoiler] 

Nonostante questa cura per le emozioni e il costante riferimento al rapporto di paternità già correttamente evidenziato nella recensione di Claudio Tamburrino, la pellicola inizia a vacillare proprio dove ci si aspetta il suo climax ovvero all'ingresso dei colossi atomici.   Godzilla è assolutamente magnifico nella sua grandezza esagerata, e nel momento in cui ho visto il muso del mostro, riadattato dalle più recenti incarnazioni nipponiche, animarsi perfettamente per eseguire il primo ruggito ho avuto la pelle d'oca.

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 Diverso discorso invece per le altre due creature. Muto per quanto ben realizzato e intelligentemente studiato (vera chicca l'utilizzo id EMP) non mi ha ocnvinto del tutto. E' un fattore puramente estetico, ma quel che più ha destato dubbi in me è la somiglianza del muso triangolare di Muto con quello del mostro Gaos (Gyasu) della saga di Gamera. Probabilmente è solo una mia impressione, ma ho trovato bizzarro dare a Godzilla una controparte simile al villain di una saga che da sempre è separata e distinta. Queste sono pecche puramente estetiche che comunque non hanno influito sul mio giudizio finale. Ciò che invece proprio non mi è andato giù è l'incredibile lentezza con cui scorre la trama. Già perchè superata l'introduzione iniziale che deve per forza esserci in un film che attinge da una saga come questa, inizia una fase di scontri fra titaniche creature intervallati dai tentativi dell'uomo di fare da sé impiegando il consueto inutile stuolo di militari di cui fa parte il protagonista. 

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godzilla-face-palm-smallIl messaggio di sacrificio e di rassegnazione agli eventi, ben presente nella pellicola del 1954, è lasciato nelle mani del personaggio di Ichiro Serizawa (Ken Watanabe) scienziato che dinanzi all'esercito americano, sempre pronto ad imbastire azioni militari a suon di bombe, sa solo dire "mah, io lascerei fare a Godzilla". Forse il concetto poteva essere espresso meglio, ma nella pellicola assistiamo ad altri momenti in cui la sceneggiatura prende delle scorciatoie che in più di un'occasione sono valse un facepalm. [spoiler] l'autociserna rovesciata casualmente sull'imboccatura del nido di Muto è forse il momento di massimo WTF [/spoiler] 

Sul versante degli scontri ho trovato davvero spettacolari e angoscianti gli incidenti aerei causati da Muto ma non posso dire di essere rimasto soddisfatto dai duelli fra le creature. Sebbene realizzati con una computergrafica perfetta i combattimenti sono diretti in maniera quasi sfuggente. Sono convinto che questa sia una scelta del regista che ci mostra solo sul finale due scene trionfali al limite della tamarraggine. redo che Edward abbia voluto alimentare sin dal principio la curiosità dello spettatore mostrando le creature sin dal principio ma relegandole a fugaci apparizioni per lo più mostrate tramite monitor ad infrarossi o notiziari televisivi. 



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E' uno stratagemma che ho comunque apprezzato come scelta, ma che putroppo contribuisce a rendere il film pesante e lento perchè quando finalmente si è arriva allo scontro diretto ho visto molte persone controllare sul display dei telefonini l'orario(!). Oltre a questi difetti, che probabilmente non tutti condivirannno, credo che un'altra pecca della sceneggiatura sia nella scelta del protagonista. Far affrontare al tenente Ford Brody tutta la sequela di catastrofi che ci vengono mostrate, e da cui esce sempre indenne, è un bell'impegno specie se ad interpretarlo trovialo il monoespressivo Aaron Taylor-Johnson col suo sguardo vitreo rubato a Tobey Maguire. Meglio invece per Bryan Cranston che abbandona il suo ruolo comico d'eccellenza (il padre nel telefilm "Malcom in the middle") dando prova di una discreta recitazione nei ruoli drammatici. 

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Il Godzilla di Edward è una pellicola che funziona molto bene in principio ma che man mano mostra delle incertezze che non possono soddisfare un fan di vecchia data come lo scrivente. Bene o male il pubblico del cinema ieri sera ha sembrato apprezzare nel complesso il film regalando un applauso proprio sulla scena finale che peraltor cita proprio la pellicola "Il Trionfo di King Kong" menzionata all'inizio. In me rimane però il dubbio che l'entusiasmo degli spettatori fosse più che altro dovuto al fatto che finalmente il film fosse finito.