Esco ora dal cinema e, iPad alla mano come nemmeno l'uomo fumetto dei Simpson, mi accingo a raccontare l'esperienza della prima italiana di Iron Man 3.
Dopo due trailer da vero
cardiopalma è approdato in Italia, prima che negli States, il terzo
capitolo dell'uomo di latta dell'universo Marvel.
Il
testimone alla regia è passato da John Favreau a Shane Black, ex
sceneggiatore di arma letale (e interprete del ruolo di Hawkins in
Predator) che cerca di riprendere il dilemma uomo-macchina già visto nel
primo capitolo affrontando il problema sotto un differente punto di
vista.
Il dubbio suscitato dal primo trailer e ribadito dalla
primissima inquadratura del film è se questa pellicola possa
considerarsi la conclusione della saga di Iron Man, un dilemma che lo
spettatore avrá modo di risolvere solo al termine dei titoli di coda...
In
questo nuovo capitolo il rapporto uomo macchina è ancora una volta il
vero protagonista: se Favreau ci ha mostrato un Tony Stark che costretto
a fuggire da un campo di prigionia s'inventa una tecnologia nuova di
cui poi diviene succube, Black vuole mostrare una differente visione
dello stesso dramma sperimentando cosa accadrebbe se all'improvviso
tutte le ricchezze e privilegi ostentati da Stark venissero infranti nel
giro di una notte.
Una formula abbastanza comune nel cinema, che
ciclicamente viene riproposta per qualsiasi eroe, Rocky, Luke, Indy,
Amleto o Tony, costretto prima o poi ad affrontare quel male che di
punto in bianco gli toglie tutti gli agi duramente conquistati.
Nel
cercare di raccontare questa singolare evoluzione del personaggio la
trama ci porta indietro nel tempo, ripercorrendo un episodio del 1999
(che ci viene introdotto dalle note di "I'm Blue" degli Eiffel 65).
Il lavoro di sceneggiatura è stato sicuramente difficile e il risultato è ottimo.
La
trama è stata costruita attingendo in parte dalla serie classica di
Iron Man, da cui proviene il più antico dei suoi nemici, il Mandarino,
per poi mischiare parte dello script con la miniserie Extremis.
Onestamente
credo che cercare di portare su pellicola un personaggio kitsch come il
Mandarino fosse un'idea folle, ma visto il risultato e il grande colpo
di genio narrativo che si cela attorno al personaggio alla fine la
scelta di questo villain si è rivelata vincente.
La differenza più
lampante rispetto alle due precedenti pellicole è chiaramente nella
sceneggiatura che risente molto della verve comica di Shane Black e
distribuisce le scene di azione nell'arco delle due ore e dieci di
pellicola alternando drammi interiori a frequenti momenti di pura
commedia talvolta quasi infantili.
Black celebra il proprio
passato giocando coi ruoli di Robert Downey Jr. e Don Cheadle che si
bullano l'uno dell'altro durante una sparatoria al pari di Riggs e
Murtaugh in Arma Letale.
Sul cast davvero nulla da dire, troviamo
un protagonista sempre più fuso nel suo personaggio, contornato dai
soliti comprimari fatta eccezione per Favreau che oltre a perdere il
ruolo di regista in questo terzo episodio viene relegato ad un ruolo
ancor più marginale.
Parlando invece delle new entry sarebbe
scontato limitarsi ad elogiare la recitazione di Sir. Ben Kingsley e
allora, data per scontata la sua bravura non si può che apprezzare
nuovamente il lavoro fatto in sede di stesura dello script che ha reso
il personaggio del Mandarino un "nemico" assolutamente fuori dalle righe
degno di essere interpretato da un attore di tale levatura.
Il
mandarino ci viene presentato come il male, senza patria, senza passato e
senza alcuno scrupolo. Un personaggio che fa eco a Bin Laden e che
trova terreno fertile nello scontro con l'ironica e quasi insopportabile
spavalderia di Stark. Ed è proprio su questo contrasto che si gioca
gran parte del dramma interiore vissuto dal protagonista nell'arco della
pellicola.
In questo gioco di potere si coglie infatti
l'occasione per regalare a Downey Junior un'interpretazione più profonda
che va oltre ai problemi esistenziali legati al rapporto con suo padre e
che invece lo pone definitivamente dinanzi i suoi limiti e,
soprattutto, lo scotto di dover ammettere a se stesso di non essere
nessuno senza i suoi soldi e la sua tecnologia e per questo motivo di
avere paura di quel che può accadere ai suoi affetti. Nel maturare tale
consapevolezza il protagonista dovrà finalmente fare la scelta
definitiva regalando allo spettatore un paio di momenti davvero
emozionanti.
Tornando all'altra parte di cast troviamo altri due
nuovi volti, Guy Pearce e Rebecca Hall. Il primo interpreta il dottor
Aldrich Killian, fondatore dell'organizzazione A.I.M. e artefice della
creazione del virus Extremis, capace di donare ai soggetti contagiati
forza sovraumana e capacità autorigenerante degna di Wolverine.
La Hall interpreta invece Maya Hansen, scienziata della AIM a capo del progetto per lo sviluppo del virus Extremis.
Anche
in questo caso nulla da eccepire per l'interpretazione degli attori
sebbene a Pierce sia stato dedicato uno sviluppo maggiore visto che il
dottor Killian è mosso nei suoi intenti da un passato di sofferenza e di
traumi provati direttamente sulla propria pelle. Per Maya invece la
sceneggiatura non ha potuto delineare a fondo certi tratti caratteriali
ed è normale che alcuni suoi comportamenti siano relegati ai più
classici colpi di scena e mutamenti improvvisi di ruolo. In ogni caso il
lavoro sul suo personaggio è sicuramente migliore (e ci voleva davvero
poco) di quanto fatto in precedenza con Miky Rourke per Ivan Vanko.
Anche
queste ingenuità rientrano alla perfezione nel contesto di una
pellicola che si ispira ad un fumetto e non c'è certo da stupirsi se
alcuni ruoli appaiono sopra le righe sebbene in un paio di scene certe
esagerazioni facciano davvero sorridere.
Quel che invece da
soddisfazione è la continua evoluzione del personaggio di Stark, che
riprende il suo ruolo proprio là dove si era interrotto al termine de "I
Vendicatori" enfatizzando ancora di più la sua incapacità di
rassegnarsi al fatto di non essere un semidio capace di salvare il mondo
per poi sbattere il muso contro l'ulteriore verità, insegnatagli suo
malgrado dal Mandarino, che sotto l'armatura c'è un uomo più fragile di
chiunque altro.
Fin qui Iron Man 3 sembra esser privo di difetti, ma adesso arrivano le note dolenti.
Fin qui Iron Man 3 sembra esser privo di difetti, ma adesso arrivano le note dolenti.
La
pellicola di Black è sì più compatta rispetto ai precedenti capitoli,
ma si potrebbe anche definire "ciclica" nel raccontare gli avvenimenti.
Come
nel più classico dei format la trama segue l'andamento di un grafico a
dente di sega che per tre o quattro volte ripropone lo stesso circuito
composto da momento di spavalderia, gag comica, dramma, momento action e
via di nuovo col momento di spavalderia in loop.
Non che questo
mi sorprenda, ma l'impressione che si ha alla fine del film è che questa
storia si potesse tranquillamente raccontare con qualche minuto in
meno, forse questo avrebbe giovato alla dinamicità del film.
La
trama è esclusivamente concentrata sui drammi di Stark e tutto il
contorno viene narrato in maniera "soffusa" fino ad un esageratissimo
climax finale che renderà felici i fan delle armature.
Altro
problema, che peraltro affligge molti sequel, è il fatto di aver messo
un bel po' di carne al fuoco senza purtroppo riuscire ad approfondire
bene tutto.
Dovendo condensare la trama in poco più di due ore si è
preferito dare per scontati certi passaggi prediligendo la componente
action che, quando arriva il momento di mazzuolare, regala scene davvero
epocali complice l'utilizzo di effetti speciali.
Si fatta
comunque di difetti di poco conto se si considera che siamo di fronte al
terzo capitolo di u a saga che ha dimostrato di avere ancora qualcosa
da raccontare.
In
conclusione il terzo capitolo di Iron Man ha il pregio di mostrare
molto più Stark e meno armatura nonostante l'orgia di metallo e reattori
arc che ci viene regalata nell'ultimo quarto d'ora.
Qualche
minuto in meno avrebbe potuto giovare al giudizio complessivo, ma questo
terzo capitolo va comunque alla grande riuscendo a trovare il giusto
compromesso tra il quasi cartoonesco The Avengers e i due precedenti
capitoli.
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