George Orwell aveva ragione! Se dovessi riassumere con una frase il plot del secondo capitolo del reboot di questa saga fantascientifica potrei semplicemente limitarmi a questo.
Già perché rispetto al precedente capitolo, di cui avevo già parlato qui, la pellicola passa nelle mani di Matt Reeves (amico d'infanzia di J. J. Abrams nonché regista di Cloverfield) che affronta la problematica del rapporto tra scimmie senzienti e umani secondo la sua personale catastrofica visione.
Sono passati 10 anni dal primo film e dalla spettacolare battaglia combattuta sul Golden Gate alla fine della quale le scimmie, rese intelligenti da un farmaco sviluppato come potenziale cura contro l'Alzheimer, si sono rifugiate nella foresta di sequoie di Muir Woods.
L'umanità è stata decimata da un virus, effetto collaterale delle ricerche scientifiche effettuate sui primati e diffuso a seguito della fuga in massa delle cavie dai laboratori di ricerca.
A San Francisco una piccola comunità di sopravvissuti capeggiata da Dreyfus (Gary Oldman) ha terminato i rifornimenti di gasolio per i propri generatori diesel, l'unica speranza è data dalla diga che si trova nella vicina foresta che, se rimessa in funzione, permetterebbe il ripristino dell'elettricità.
Una spedizione di uomini si addentra nel bosco dove ad attenderli trova una vera e propria società di scimmie capeggiate da Cesare, lo scimpanzé protagonista del precedente episodio.
Il punto di partenza di questa nuova incarnazione della saga dei primati è indubbiamente catastrofico.
Reeves dopo aver mostrato gli effetti della pandemia scatenatasi al termine del primo episodio con la più classica delle introduzioni, gioca tra il parallelismo sottolineando il progresso della società delle scimmie rispetto alla desolazione vissuta dai pochi superstiti.
Gli scenari urbani mostrano una San Francisco ricostruita nei minimi dettagli sopraffatta dalla natura. Le strade e i palazzi, ricoperti di vegetazione, così come gli esseri umani, vestiti di abiti logori e sporchi, paiono presi in prestito da una schermata di The Last of Us e ciò è un pregio.
Dall'altro lato troviamo le scimmie, organizzate in una società ancora in evoluzione, ma in perfetta armonia con la natura. Il precario equilibrio conquistato a fatica dai primati viene sconvolto dall'ingresso degli umani nella loro società e dalla compassione che Cesare, memore dell'amicizia col dott. Rodman (James Franco), mostra nei confronti del capo spedizione Malcom (Jason Clarke).
La scelta del leader non viene condivisa dalla comunità e in particolare da Koba, scimmia bonobo ex cavia da laboratorio che nutre uno smisurato odio nei confronti degli umani. La messa in discussione dell'autorità, unita alla meschinità dell'uomo sarà il focolaio da cui si verrà a scatenare una nuova rivolta.
Seppur meno coinvolgente del predecessore sotto il profilo empatico Apes Revolution ha comunque il pregio di mostrare in modo credibile la progressiva corruzione di una società pura attraverso la biechezza degli esseri umani.
Che si tratti dell'odio di un animale scatenato dalla crudeltà delle torture infertegli in onore della scienza o della semplice stupidità di chi continua a chiamare aniamale ciò che ormai non lo è più, lo stravolgimento dell'equilibrio è reso in maniera impeccabile e sfocia in un'odio estremo al termine del quale, come ne "La Fattoria degli Animali" di Orwell, ci si interroga su chi abbia ragione.
A circondare questo interrogativo troviamo una realizzazione tecnica davvero impeccabile che mostra tutta la drammaticità delle sofferenze patite dai primati attraverso una computer grafica unica supportata ancora una volta da Andy Serkis, vero Maestro del motion capture, capace di dare a Cesare delle espressioni credibili.
Osservando le scene di massa ci si rende conto del progresso che è stato fatto dalla cg sia nei volti che nelle movenze delle scimmie. Tutti i primati, dalla vecchia conoscenza dell'orango Maurice a qualsiasi altro membro della comunità, sono realizzati con una cura maniacale dei dettagli e sebbene il più delle volte si esprimano con segni o versi gutturali ci si appassiona comunque nel seguirne le gesta.
Ci sono però delle pecche di non poco conto come una generale lentezza di fondo e una narrazione degli eventi che in più occasioni non brilla troppo per coerenza.
È inevitabile sorridere vedendo in quale casa, tra le migliaia di edifici presenti a San Francisco, si rifugiano i protagonisti per sfuggire alle scimmie, e altrettanta ilarità viene suscitata dalla ridicola campagna di product placement che Apple imperterrita continua a portare avanti dal precedente film (e in un futuro post apocalittico inserire uno pseudo spot dell'iPad è davvero triste!).
Analogo discorso per le centinaia di migliaia di munizioni che gli umani sprecano...non si tratta di grosse cadute di stile, ma di semplici scelte che personalmente non ho trovato azzeccate.
Ben più grave è il fatto che l'attenzione mostrata nella costruzione dei ruoli dei primati non trovi il giusto raffronto con le controparti umane.
Gary Oldman si limita al minimo contrattuale più o meno come in Robocop, e i ruoli assegnati al resto del cast non brillano certo per originalità regalando alla trama prevedibilità e scontatezza contribuendo alla lentezza generale del ritmo.
Nonostante questi difetti Apes Revolution rimane comunque un buon film, troppo diverso dal predecessore per poter suscitare le stesse sensazioni di coinvolgimento ed empatia, ma in ogni caso capace comunque di destare più di una riflessione grazie al sapiente gioco di raffronti che, tra dilemmi socio-esistenziali e scene belliche degne dei migliori war movie, porta verso il finale.
Probabilmente con un cast più impegnato e una riduzione del minutaggio sarebbe venuto fuori qualcosa di superiore, ma già così merita comunque la visione sollevando grandi aspettative riguardo a quel che ci aspetterà nel terzo capitolo, vero trait d'union tra questo reboot e la saga classica.
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