Ormai
più di sei mesi fa, grazie alla recensione de "Lo Hobbit" ho
inavvertitamente scatenato un bellissimo dibattito sul concetto di
"linguaggio cinematografico". E' interessante che lo spunto per
affrontare più approfonditamente la questione venga nuovamente da una
pellicola dove spicca ancora il nome di Guillermo del Toro.
Motivi
personali mi hanno impedito di vedere Pacific Rim all'anteprima
cinematografica, questo ha comportato che inevitabilmente siano passate
sotto ai miei occhi alcune recensioni che la mia morbosa curiosità non è
stata in grado di impedirmi di leggere. Nel pieno rispetto delle
opinioni di chiunque ha espresso il proprio giudizio riguardo la
pellicola di Del Toro mi permetto di scrivere quello che ho percepito
ieri sera durante la proiezione.
Pacific Rim è un enorme tributo alla cultura anime e ai Dai Kaiju Eiga
Mai
fino ad oggi avevo visto un simile omaggio ai film e ai cartoni animati
giapponesi. Ed è qui che è importante allacciarsi al discorso iniziale,
riprendendo il dibattito già aperto ne "Lo Hobbit".
C'è
una netta differenza tra trasporre ed omaggiare, laddove, con
quest'ultimo termine, non ci si deve limitare a riprodurre situazioni
strizzando l'occhio a qualcosa di già ben noto. Se quest'adattamento
viene effettuato per il tramite di un linguaggio differente da quello di
origine si rischia di cadere nel ridicolo o nel kitch.
Ogni volta
che ho recensito un film Marvel ho letto commenti che lamentavano
mancanze nella sceneggiatura o ribaltamenti di ruoli rispetto a quelli
cartacei (il mandarino di Iron Man 3 è l'esempio che meglio ricordo).
Questo è assolutamente normale quando il raffronto tra l'opera originale
e quella cinematografica è già ben noto allo spettatore, ma discorso
diverso deve essere fatto dinanzi un'opera che attinge semplicemente da
un contesto ben preciso sviluppandosi su un altro piano.
Tra le
più grandi critiche rivolte alla pellicola di Del Toro ho letto mancanze
che hanno fatto davvero sorridere. Le più comuni riguardano carenza di
spessore di certi personaggi così come la leggerezza della
sceneggiatura, per non parlare delle critiche "scientifiche" di chi, al
cinema ieri sera continuava a dire "nella realtà sarebbe impossibile".
Omaggiare gli anime e i Kaiju Eiga, vuol dire scontrarsi con l'ingenuità che da sempre è alla base di queste opere.
Del resto, fatta eccezione per il primo film di Godzilla e per le prime
serie di Gundam, gli anime robot e i film di mostri si articolano su
clichè piuttosto semplici e ripetitivi che non lasciano molto spazio ad
approfondimenti psicologici o risvolti di trama particolarmente
originali.
Se poi si deve puntare su un prodotto cinematografico
la difficoltà di dover condensare in poco più di due ore la trama può
portare a due scelte totalmente complementari: si può attingere da una
situazione per raccontarla da un punto di vista inedito, completamente
diverso, oppure non si fa altro che prendere il meglio da ogni cosa e
cercare di enfatizzarlo al massimo dichiarando apertamente l'amore verso
il genere.
E'
indubbio che Del Toro, nel dirigere Pacific Rim abbia optato per tale
ultima scelta laddove ogni situazione, in un modo o nell'atro richiama
ad una cultura e ad un immaginario ben preciso. Un immenso calderone in
cui bolle allegramente uno spezzatino fatto di Go Nagai, di Hishiro
Honda, di Yoshiyuki Tomino (se non sapete chi è shame on you) il tutto
condito con un tocco di immancabili fratelli Wachowsky (e perfino una
spruzzata di Stuart Gordon peraltro assolutamente dovuta!).
Dinanzi
un'opera simile è chiaro che le opinioni siano quanto di più soggettivo
ci si possa aspettare. Per chi come me ha assistito alla trasmissione
del primo episodio di Goldrake in Italia questo film rappresenta la
concretizzazione del sogno di un bambino, per le nuove generazioni
potrebbe essere semplicemente l'ennesimo disaster movie a sfondo
fantascientifico.
Quel che posso dire è che nel complesso Pacific
Rim mi ha saputo stupire e regalare emozioni, per lo più legate alla mia
infanzia. Il tutto senza essere esente da difetti. Sulla sceneggiatura e
sui personaggi non ho nula da dire, siamo dinanzi un omaggio agli anime
e voglio intenderlo come tale, senza la necessità di volere di più.
Quel che mi ha stancato sono i combattimenti che paiono coreografati da
Cristopher Nolan (leggasi non ci si capisce una beneamata fava) e in
generale alcune scelte estetiche.
Per il resto la pelliclola va
bene così, con Idris Elba che ti scuote l'anima nel profondo meglio di
un santone televisivo, con lo Jaeger russo che ricorda il reattore di
Chernobyl (e per fortuna ci si è fermati a quello senza cadere nel
ridicolo come in Mobile Fighter G Gundam), con Ron Perlman venduto in
bundle con Del Toro come Moto GP con la Play3, con quei colossi di
metallo manovrati attraverso il sistema di controllo in cui avrei sempre
sognato di immergermi, e poco mi interessa se è preso da Evangelion
piuttosto che da Robot Jox (guardare al minuto 15:01), l'importante è che spacchi, e questo è davvero indubbio!
In
tutto questo crogiuolo ho avuto la sensazione che Del Toro si sia mosso
con prudenza, cercando di colpire sul sicuro e limitando molto sue
eventuali scelte personali e questo la dice ancor più lunga sull'omaggio
che un regista così eclettico e dallo stile così personale ha voluto
fare a questo universo.Mi attendo qualcosa di diverso su un eventuale
Pacific Rim 2 perchè credo questa pellicola abbia davvero detto tutto su
quanto da me visto da bambino sul divano di sala, con una fetta di pane
e marmellata in una mano e il pupazzo di Goldrake nell'altra.
Bravo Ale. Ben tornato! W Gig robot d'acciaio!
RispondiEliminaquello venduto dalla nota marca di giocattoli no?!
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